MALAGESTIONE DI ABUSI, SI DIMETTE IL PRIMATE ANGLICANO
Terremoto al vertice della comunione anglicana: l’accusa di negligenza e insabbiamento del caso dell’abusatore seriale John Smyth ha spinto Justin Welby alle dimissioni.
Il terremoto era nell’aria, ma ieri la “scossa” ufficiale è riecheggiata da Lambeth Palace, sede dell’arcivescovo anglicano di Canterbury: Justin Welby lascia la guida della chiesa di Sua Maestà perché accusato di negligenza nella gestione di un caso di abusi seriali. Nei giorni scorsi era stata lanciata addirittura una petizione per spingere il primate anglicano a dimettersi, che ha raccolto oltre 14mila firme. La decisione definitiva di rassegnare le dimissioni e il relativo comunicato giungono «dopo aver chiesto il permesso a Sua Maestà il re».
A dare il colpo di grazia a Sua Grazia Justin Welby è stata la pubblicazione del “rapporto Makin” il 7 novembre scorso: una dettagliata inchiesta di 250 pagine, condotta dal ricercatore Keith Makin, sulla copertura da parte delle gerarchie anglicane degli abusi psicologici, fisici e sessuali commessi a partire dagli anni Settanta e Ottanta da John Smyth, avvocato nonché lettore della chiesa anglicana e, per così dire, “educatore” nel ministero per ragazzi. L’attività criminale di Smyth si è dispiegata in Gran Bretagna, poi in Zimbabwe e Sudafrica, sia su alunni del Winchester College (un collegio scolastico vicino alla sua abitazione) attirati in casa sua, sia – e qui veniamo al coinvolgimento delle gerarchie anglicane – nell’ambito dei campi estivi per ragazzi organizzati dall’Iwerne Trust, organizzazione cristiana di cui Smyth era senior member. Gli abusi andavano da approcci sessuali a violenti pestaggi, come più volte in anni recenti hanno testimoniato le sue vittime, tra cui Andrew Watson, attuale vescovo anglicano di Guildford. Welby si assume la propria responsabilità: «Il rapporto Makin ha smascherato la cospirazione del silenzio, mantenuta da tempo, sugli atroci abusi di John Smyth. Quando nel 2013 sono stato informato e mi è stato detto che la polizia era stata avvisata, ho creduto erroneamente che ne sarebbe seguita una soluzione adeguata».
Il rapporto Makin definisce Smyth «il più prolifico abusatore seriale associato alla chiesa d’Inghilterra» e così nelle conclusioni ne sintetizza l’opera criminale: «Questi abusi hanno abbracciato un lungo periodo di tempo (dalla metà degli anni ’70 fin quasi al momento della sua morte, avvenuta nell’agosto 2018), in tre diversi Paesi e coinvolgendo almeno 115 e forse anche 130 ragazzi e giovani uomini. La prima evidenza di un approccio abusivo da parte di John Smyth risale al 1971 e riguarda un ragazzo di 14 anni». L’organizzazione avviò un’indagine interna nel 1982, ma la denuncia giunse soltanto nel 2013 sul tavolo di Welby, appena eletto primate anglicano. Peraltro, in gioventù Welby partecipò come volontario a qualcuno di questi campi, ma dichiara che all’epoca non ebbe sentore del dramma che vi si consumava. Da arcivescovo di Canterbury invece, per sua stessa ammissione, venne a saperlo e non agì adeguatamente.
I fatti divennero di dominio pubblico nel 2018 quando Smyth morì all’età di 77 anni in Sudafrica. All’epoca la BBC riportò alcune testimonianze delle vittime. Il capannone del giardino di casa Smyth a Winchester fu uno dei primi teatri di questi abusi. Andy Morse riferì di esservi stato «picchiato circa 3mila volte» tra il 1978 e il 1982 e «una volta finite le percosse, cominciavo a temere la volta successiva in cui sarei stato picchiato». Gli stessi trasferimenti di John Smyth appaiono legati a quelle vicende. Nel 1984 si trasferì dal Regno Unito allo Zimbabwe dopo le prime accuse emerse nell’indagine interna dell’Iwerne Trust. Nel 1997 fu arrestato dopo la morte sospetta di un ragazzo: caso archiviato e nuovo trasferimento, destinazione Sudafrica. Ma già l’anno precedente alla morte dell’abusatore un’inchiesta di Channel 4 News aveva costretto Welby a fare pubblica ammenda. Che non bastò, dal momento che lui stesso ieri ha ammesso di doversi assumere «la responsabilità personale e istituzionale per il lungo e traumatizzante periodo tra il 2013 e il 2024», cioè per la gestione del caso anche dopo la morte di Smyth.
Pur dimettendosi, Welby dichiara: «Per quasi dodici anni ho lottato per introdurre miglioramenti. Spetta ad altri giudicare ciò che è stato fatto. Nel frattempo, terrò fede al mio impegno di incontrare le vittime». E in margine al comunicato gli fa eco l’arcivescovo di York, Stephen Cottrell, affermando che «sono già stati fatti molti progressi negli ultimi dieci anni» ed «è stato lo stesso arcivescovo Justin a sostenere quegli sviluppi e quelle riforme».
Si conclude così in maniera traumatica e imprevista il mandato del 105° arcivescovo di Canterbury e primate anglicano, che a differenza di vari suoi predecessori si è trovato a presiedere eventi di primo piano nella vita del Regno Unito e della famiglia reale, soprattutto lo storico passaggio dalla longeva regina Elisabetta II all’attuale re Carlo III. E benché il premier Starmer abbia già detto che la questione «riguarda la chiesa», è un altro grattacapo non da poco per il sovrano inglese che di quella chiesa è a capo sin dallo scisma di Enrico VIII.
Stefano Chiappalone
NBQ
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