PROF. AVV. NEVIO BRUNETTA – COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, NELLA DOTTRINA DEI TESTIMONI DI GEOVA.

Avv. prof. Nevio Brunetta

Avvocato in utroque iure

COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE CIVILE I, 3 FEBBRAIO 2025 N. 2549, NELLA DOTTRINA DEI TESTIMONI DI GEOVA.

Principio di diritto: “Il giudice non incorre in errore quando valuta attentamente le scelte religiose dei genitori alla luce degli altri diritti e interessi del minore, quali il diritto alla salute mentale e fisica, nonché un’armoniosa crescita”.

Commento.

Finalmente la Corte di Cassazione ha ritenuto, in applicazione degli artt. 8, 4 comma 2 e 30 della Costituzione repubblicana, legittima e soprattutto doverosa la condotta del giudice di merito che ha proceduto alla verifica della sinonimia tra norme religiose (le regole a cui gli adepti della Confessione religiosa si devono attenere) e norme giuridiche civili (le regole a cui tutti si devono attenere a prescindere dalla loro fede religiosa, in quanto cittadini e appartenenti allo Stato italiano).

Nella fattispecie, non si tratta solo del diritto alla vita, tutelato in conformità all’art. 32 della Costituzione repubblicana, la cui tutela è assoluta e indisponibile, tanto che nessun genitore può limitarla o escluderla, se coinvolto è un loro figlio minorenne, ma anche altri aspetti della vita sociale che devono essere ordinati nell’osservanza di tutti i diritti irrinunciabile della persona.

Il Giudice non incorrerà mai in un errore di diritto se bilancia le scelte religiose dei genitori con i diritti irrinunciabili del minorenne, che sono indispensabili per una sua crescita armoniosa, sana ed equilibrata, sia sotto il profilo psico-fisico che morale.

Per esempio, l’accidia o avversione al fare, perché tutto è male o tutto è irrimediabile, può essere una scelta religiosa, per esempio è quella dei testimoni di Geova, che proprio per questa ragione, aborriscono sia l’elettorato attivo che quello passivo, per cui non si deve votare e non ci si deve candidare per essere votati.

La domanda viene, dunque spontanea, può un figlio minorenne crescere in armonia psico fisica e morale se viene educato alla totale accidia, per esempio in nome di Geova?

Il figlio minorenne di fronte alle delusioni e sconfitte inevitabili della vita deve essere aiutato e sostenuto moralmente dai genitori a superarle, per il suo bene e quello della collettività, assicurando così quel progresso sociale che la nostra Costituzione impone e richiede a tutti, coinvolgendo sia la sfera materiale che quella spirituale della persona, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4 comma 2 della Costituzione repubblicana.

L’art. 315 bis del c.c., il cui riferimento è l’art. 30 della Costituzione repubblicana, impone ad ambedue i coniugi determinati e specifici doveri che si riassumono nel diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

L’unica nota dolente è che il caso prospettato e giunto alla cognizione della Corte di Cassazione, riguardava una coppia di genitori, sedicenti cattolici, che hanno interpretato il Magistero della Chiesa e il suo diritto in modo totalmente difforme, tanto da incuriosire lo stesso Giudice di merito, che così facendo, forse involontariamente, ha smosso e sollecitato con maggiore pragmatismo la pleonastica e ideologica giurisprudenza antecedente, che in materia di religione, solitamente concludeva la diatriba tra genitori di fede religiosa diversa sulla educazione dei figli minori, con la nota regola descritta nell’art. 19 della nostra Costituzione repubblicana, ossia che tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di contrari al buon costume.

Molto spesso, infatti, quando la diatriba tra genitori riguardava un testimone di Geova e un disassociato oppure tra un genitore divenuto testimone di Geova e un genitore rimasto nella propria fede, il Giudice non procedeva a verificare la sinonimia tra norme religiose e norme giuridiche civili a tutela e nell’interesse del minore, salvo i soliti e granitici casi, in cui si discute sulla vita del minore, la cui tutela è sempre stata fuori discussione a prescindere dall’appartenenza religiosa.

In definitiva, come il Giudice di prime cure della sentenza in commento (Corte di Cassazione civile, sezione I, 3 febbraio 2025 n. 2549) ha ritenuto opportuno conoscere il Magistero e il diritto della Chiesa cattolica studiando un documento specifico al caso trattato e appartenente alla Congregazione della Dottrina della fede, organo del dicastero della Chiesa cattolica di indubbio valore e rilievo appartenente alla Santa Sede, altrettanto il Giudice deve farlo anche con riferimento a tutte le altre Confessioni religiose.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, sopra citato, rappresenta, dunque, una svolta significativa e sicuramente un monito giurisprudenziale molto importante, soprattutto nell’ambito di quei casi in cui il disassociato dai testimoni di Geova, se genitore, viene spodestato del suo ruolo, anche affettivo, nei confronti dei figli testimoni di Geova, tanto minorenni quanto maggiorenni.

Prof. Avv. Nevio Brunetta

Avvocato in utroque iure

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