USCIRE CON LA TESTA, NON SOLO CON I PIEDI: UNA RIFLESSIONE SUL LASCIARSI DIETRO L’ODIO

Di Emilio Morelli

    Da ex Testimoni di Geova, molti di noi sanno cosa significa vivere sotto il peso di paure indotte, divieti e un’ideologia che demonizza chiunque non sia “dentro”. Una delle contraddizioni più grandi di questa realtà è l’odio sistematico verso ciò che viene etichettato come “falsa religione”, spesso identificata nella Chiesa Cattolica.

    Croci spezzate, statue della Vergine Maria gettate tra i rifiuti, immagini di chiese distrutte: gesti che tradiscono disprezzo, non amore.

    Ma il problema non finisce quando si esce fisicamente dal culto geovista. L’odio inculcato per anni non svanisce: si trasforma. Diventa cinismo verso chi è ancora nella setta, risentimento verso le istituzioni religiose, o persino conflitto tra ex membri. Ho visto ex compagni di fede accusarsi a vicenda, sminuire le esperienze altrui, ridicolizzare chi prova a denunciare le ingiustizie subite. È come se portassimo ancora addosso il veleno della mentalità settaria, sostituendo un bersaglio con un altro.

    La mia storia: Anch’io ho vissuto questo. Dopo anni di servizio come anziano, ho lasciato tutto. Ho scritto un libro per aiutare altri a liberarsi, nonostante le mie imperfezioni (sì, ho la terza media e ho commesso errori!). Eppure, i primi a criticarmi non furono i Testimoni, ma altri ex membri. “Ignorante”, “Fantozzi”, mi hanno detto. È triste, ma dimostra quanto sia facile replicare gli schemi di giudizio e divisione che ci hanno plasmato.

    Cosa dovremmo imparare?

    1. Nessuna istituzione è perfetta, neppure la Chiesa Cattolica. Ma mentre i Testimoni di Geova non costruiscono ospedali, scuole o centri Caritas, la storia del cristianesimo—con tutte le sue ombre—ha anche una luce: migliaia di opere sociali nate da chi crede nell’aiutare il prossimo, non nel condannarlo.

    2. Uscire davvero dal geovismo significa liberare la mente: non basta abbandonare le Sale del Regno. Dobbiamo smettere di vedere il mondo in bianco e nero, di odiare chi la pensa diversamente, di cercare capri espiatori.

    3. L’unione fa la forza: se invece di litigare tra ex membri ci unissimo per sostenere chi soffre, denunciare abusi, o semplicemente ascoltarci senza pregiudizi, potremmo fare la differenza.

    Un invito ai fuoriusciti:

    La rabbia è legittima: ci hanno rubato tempo, affetti, identità. Ma trasformarla in odio perpetuo ci rende prigionieri di chi ci ha fatto del male. Scegliamo di essere più grandi delle nostre ferite. Costruiamo una comunità che sostiene, non che divide.

    Per chi è ancora dentro:

    Non abbiate paura di porvi domande. La verità non ha bisogno di muri per difendersi.

    PS: Questo post nasce dalla mia esperienza e dal desiderio di aprire un dialogo. Non cerco consensi, ma riflessione. Se hai vissuto qualcosa di simile, o se vuoi condividere la tua storia, scrivimi. Insieme si può guarire.

    Iban: IT03M0707212901000000429543

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