MANIPOLAZIONE MENTALE – IL BUCO NERO DELL’ATTUALE IMPIANTO PENALE

Un excursus storico sulla punibilità della manipolazione psicologica: dall’ex reato di plagio alle fattispecie di violenza privata e atti persecutori

1. Introduzione

Negli ultimi tre anni, l’adesione alle sette, di stampo più o meno religioso, si è innalzato, anche a fronte del profondo isolamento, fisico ed emotivo, imposto dai diversi lockdown e restrizioni varie di movimento che sono state imposte dal Governo.

Come noto, sono sempre più le persone che, in virtù di una propria debolezza personale (connaturata o momentanea), cercano conforto in pseudo-associazioni culturali, organizzazioni ed aggregazioni di vario genere, per divenirne, successivamente, succubi, altresì, sul profilo economico.

Il focus di questo contributo sarà proprio incentrato sull’approfondimento critico, sul piano storico e normativo, della punibilità di quello che, dal legislatore del tempo, era stato inquadrato nell’ambito del reato di plagio fino ad arrivare alle attuali fattispecie che disciplinano, seppur impropriamente, tale fenomeno.

2. L’ex reato di plagio: l’art. 603 c.p. del “Codice Rocco”

L’art. 603 c.p. dell’ex “Codice Rocco” puniva chiunque avesse sottoposto “una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione”, alla pena della reclusione “da cinque a quindici anni”.

Tale disposizione è stata, tuttavia, abrogata, per proclamata illegittimità costituzionale con sentenza del 9 aprile 1981, n. 96.

Al paragrafo n. 14) di tale storica decisione, la Corte osservava come l’art. 603 c.p. avesse previsto un’ipotesi non verificabile né dimostrabile, non sussistendo, peraltro, modalità per accertare l’eventuale “vigoria psichica” in capo al soggetto agente, altresì, in virtù dell’impossibilità di procedere agli accertamenti di cui all’art. 314 c.p.p.

Sul punto, la Corte proclamava, al paragrafo n. 16), il carattere impreciso ed indeterminato della disposizione, con impossibilità di attribuzione alla stessa di un contenuto dotato di oggettività, coerenza e razionalità.

Sulla scorta di tali premesse, l’art. 603 c.p. veniva, quindi, dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto “con il principio di tassatività della fattispecie contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale, consacrato nell’art. 25 Cost.”.

3. Il D.D.L. n. 569/2008: il tentativo fallito di una nuova perseguibilità

Come sopra spiegato, l’art. 603 c.p. ebbe vita, relativamente, breve ed un’applicazione assolutamente episodica, con tanto di declaratoria di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 25 della nostra Carta.

Ad ogni modo, però, il dibattito sulla punibilità di tale fattispecie non smise di alimentarsi, fino a trovare la sua massima esposizione, tramite il Disegno di Legge n. 569, avente ad oggetto disposizioni relative al reato di manipolazione mentale, comunicato alla Presidenza del Senato il 15 maggio 2008, con primo firmatario il senatore Antonino Caruso, al fine di introdurre, nel Codice penale, l’art. 613-bis.

Il testo della proposta disposizione, ad oggetto il reato di manipolazione mentale, recitava come segue:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione è punito con la reclusione da due a sei anni.

Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività finalizzate a creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà.

Se i fatti previsti nei commi 1 e 2 sono commessi in danno di persona minore di anni diciotto, la pena non può essere inferiore a sei anni di reclusione”.

Il Disegno di legge non trovò, tuttavia, i consensi auspicati dai promotori della proposta e naufragò.

4. L’attuale impianto normativo di punibilità: dal reato di violenza privata al delitto di atti persecutori

Come già sopra anticipato, ad oggi, ogni qualvolta si debba affrontare una fattispecie di avvenuta manipolazione psicologica, sarà necessario optare per una delle (apparentemente) molteplici soluzioni punitive ricomprese nell’attuale ventaglio offerto dal nostro Codice penale.

Segnatamente, il reato di violenza privata, previsto dall’art. 610 c.p., punisce, al primo comma, “[c]hiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa […] con la reclusione fino a quattro anni”, con un aumento di pena, al secondo comma, laddove siano ricorrenti le condizioni aggravanti di cui all’art. 339 c.p.

In secondo luogo, può essere menzionato l’art. 612 c.p. che punisce, con la multa, chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno, prevedendo un innalzamento della pena, in caso di gravità della minaccia ovvero nel caso in cui sia impiegata una delle modalità di cui all’art. 339 c.p.

Il reato di violenza psicologica può essere, inoltre, inquadrato nell’ambito dell’art. 612-bis c.p. che punisce, da un anno a sei anni e sei mesi, “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata al medesimo da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”, con un inasprimento della pena, al secondo comma, in caso di fatto commesso dal coniuge, convivente e da altra persona legata affettivamente alla persona offesa, ovvero tramite strumenti informatici o telematici nonché, al terzo comma, in caso di danno ad un minore, donna incinta, disabile oppure con armi o da persona travisata.

Un’altra fattispecie che è possibile, da ultimo, menzionare è quella dell’art. 572 c.p., avente ad oggetto il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, che punisce, al primo comma, chiunque “maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”, con un innalzamento della pena ai successivi commi, laddove il fatto sia realizzato in presenza o in danno di minore, donna incinta, disabile, con armi, in caso di lesioni (gravi o gravissime) oppure nell’eventualità di morte della persona offesa dal reato.

Ebbene, ciò che si desume, anche solo, da una preliminare lettura delle succitate disposizioni di legge è la profonda lacuna normativa, attualmente, sussistente nel nostro Ordinamento; vuoto che, dalla vetusta sentenza costituzionale del 1981, non è riuscito a trovare un confacente riempimento legislativo, lasciando, praticamente, impunite situazioni di violazione, violenza ed assoggettamento psicologico che non trovano piena riconducibilità in alcuna delle figure di reato sopraelencate, sia sul piano materiale della condotta sia su quello psicologico del soggetto agente, oltre a quello della pena nettamente più aspra nell’ex art. 603 c.p. rispetto alle ipotesi attualmente in vigore.

Giova ricordare, ancora una volta, come, ad oggi, non esista alcuna specifica disposizione che punisca la condotta di chi sottoponga, con coscienza e consapevolezza, una persona al proprio volere, riducendola in uno stato di soggezione, più o meno, assoluta, derivandone, peraltro, una lesione rispetto alla ricezione di specifici principi comunitari legati al rispetto della dignità umana e della sua integrità, ai sensi del capo I della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Soprattutto alla luce dello sviluppo tecnologico occorso negli ultimi decenni (in tal senso, i social network regnano sovrani), il fenomeno del plagio, più diffuso di quello che si possa ritenere, non può essere oggetto di sottovalutazione culturale, sociale e giuridica, altresì, in virtù delle conseguenze, materiali (economiche) e morali (emotive) derivanti da tale evento sia per la vittima sia per i suoi familiari.

5. Conclusioni

Dalle considerazioni sopraesposte, è possibile trarre le seguenti conclusioni.

Quello della manipolazione psicologica è un fenomeno dotato di una fitta complessità che richiede, ai fini di una piena comprensione, uno studio combinato di plurimi settori, come quello psicologico, sociologico, culturale e giuridico.

Ciò che emerge dal percorso storico-normativo appena approfondito è stata la superficialità del legislatore, all’indomani della pronuncia d’illegittimità costituzionale, nel non trovare un’adeguata collocazione di tale fenomeno; fenomeno, questo, lasciato, pressoché, non codificato e, pertanto, totalmente impunito, se non tramite ulteriori fattispecie che, ad ogni modo, non riescono (anche giustamente, in quanto introdotte per tutelare interessi diversi) a centrare quello che dovrebbe essere il focus di una norma posta a punibilità di condotte di plagio ovvero l’integrità psicologica del soggetto che, non sempre, per timore o minaccia, si ritrova a cadere in vere e proprie trappole mentali, ma, al contrario, quasi in maniera cosciente, consapevole e consensuale.

Nella maggioranza dei casi e, soprattutto, nella fase iniziale di quello che può definirsi un vero e proprio adescamento psicologico, la vittima appare, esternamente, convinta del percorso intrapreso, sulla scorta di pseudo-certezze infuse dal soggetto agente.

Ora, posto che le perplessità espresse dalla Corte costituzionale nel 1981 non possono ritenersi infondate, non può negarsi l’esigenza di trovare una soluzione, sfruttando tutti gli strumenti di conoscenza che negli anni ’80 potevano essere solo lontanamente ipotizzabili, a tale lacuna normativa, posta l’insussistenza di diversi elementi nelle fattispecie ad oggi esistenti.

Il carattere dell’adescamento ed il profilo della persuasione, con un derivato stato di soggezione psicologica della vittima a vantaggio (anche economico) dell’agente ed una compressione del tradizionale libero arbitrio, risultano non presenti in alcuna delle figure sopraelencate.

La soluzione potrebbe ricercarsi in un approfondimento comparato delle diverse scienze (mediche, giuridiche, psicologiche e sociologiche) coinvolte in tale fenomeno, visti anche i progressi compiuti dal lontano 1981; potrebbero, ad esempio, citarsi le neuroscienze di cui non potrà, di certo, negarsi il rilievo di primo piano nell’ambito del diritto penale, in un’ottica di approccio multidisciplinare alla complicata tematica in esame.

26 Aprile 2023

Studio Legale AS

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